“Ragazzi, vi va di vedere un cadavere?”[1]
Nomen omen, dicevano i latini. E forse per King varrebbe più sul cognomen. Battutacce a parte, non c’è alcun dubbio che – piaccia o non piaccia, Stephen King è il RE indiscusso di un genere letterario a metà fra il thriller e l’horror.
Penso di averli letti quasi tutti, da IT a Misery, da The Dome a Carrie passando per Il miglio verde
Le notti di Salem o L’Acchiappasogni (che lasciò me e mia madre molto perplesse su alcune scelte e ancora oggi ci chiediamo se non fosse sotto effetti di acidi mentre scriveva!).
Non avevo mai letto i racconti brevi però. Così due estati fa ho deciso di rimediare, prendendo la raccolta STAGIONI DIVERSE, scoprendo solo dopo di aver scelto la raccolta con tutte storie trasportate sul grande schermo: Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank (Le ali della libertà[2]), Un ragazzo sveglio (L’Allievo[3]) e il mio preferito in assoluto: Il corpo (Stand by me-Ricordo di un’Estate[4]), che avevo visto a casa dei miei nonni molti anni prima con i miei cugini, e che avevo apprezzato moltissimo.
Il quarto racconto è Il metodo di respirazione.
Quattro, come le stagioni, e a ognuna di esse ne corrisponde uno. Bellissime le frasi che precedono ogni novella e ne spiegano, in uno stile decisamente poetico, la corrispondenza con la stagione in questione. Rispettivamente: L’eterna primavera della speranza, L’estate della corruzione, L’autunno dell’innocenza e Una storia d’inverno.
Anche se poi non corrispondono poi così tanto alla premessa, le stagioni. Il “l’autunno” è rappresentato da Il corpo, che però è ambientato in estate.
Mi sono piaciuti tutti, ma Il Corpo mi è rimasto proprio dentro, forse perché mi ricorda le avventure con i cugini nella casa dei nonni, perché era l’unico di cui avevo già memoria[5], o forse semplicemente mi è piaciuta di più la trama[6], fatto sta che è l’unico che ho riletto ben tre volte!
Mi piace perché racconta una delle ultime volte in cui ci si sente davvero a un passo dal diventare grandi. Una delle ultime avventure vissute senza stare a pensare ai rischi e pericoli, vissuta solo per la voglia di viverla “fino all’ultimo respiro”.
“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?”[7]
Inseguiamo le vicende di Gordie, Chris Chambers, Vern Tessio e Teddy Duchamp come se fossimo anche noi insieme a loro.
Ci sembra di di averli accanto a noi, mentre parlano, gridano, giocano, scherzano, si offendono… Certe volte ci fanno ridere per la loro naturalezza, per il loro modo di fare stravagante, incosciente… tipico dell’età; altre volte ci indigniamo un po’ per la miriade di parolacce soffiate, urlate, da questi quattro amici , tanto diversi per carattere eppure così vicini.
Tutti e quattro più soli di quanto non vogliano ammettere a loro stessi.[8]
È un libro adatto a chi ama fare di tanto in tanto un tuffo nel passato e a chi non teme l’arrivo di una buona dose di tristezza nel ricordare i bei tempi andati della fanciullezza; o per chi ha vissuto un’avventura adolescenziale memorabile, con le persone giuste, le uniche che desidereresti avere vicino per sentirti vivo. O che avrebbe tanto voluto…
Io e i miei cugini non siamo andati a vedere un cadavere, ma siamo andati in giro per il paese come se dietro ogni angolo ci fosse un segreto da svelare, un mistero da risolvere, un’avventura da vivere. E questo ci ha tenuti uniti, nonostante le età diverse e variegate.
E anche se oggi ci sentiamo un po’ di meno e non corriamo più qua e là a combinare guai, li sento vicini. E rileggendo Il Corpo, mi ricordo dei bei momenti vissuti con loro.
In fondo un romanzo non dovrebbe fare proprio questo? Entrarci così dentro da sembrare parte della nostra vita vissuta?
King, nel suo modo macabro e disincantato, ci riesce ogni volta.
L’ha ripubblicato su Thr0ugh The Mirr0re ha commentato:
“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?”[7]
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