“Tu di unico impulso hai coscienza,
meglio per te non conoscere l’altro.
Dentro il cuore ah, mi vivono due anime,
e l’una dall’altra si vuol dividere.”[1]

Ho conosciuto il Faust di Goethe[2] piuttosto tardi rispetto agli altri classici, o meglio, ne avevo sentito parlare, ma non mi ero mai approcciata alla lettura, fino a che giunta ormai al terzo anni di università non vi fui “costretta” per poter passare uno degli esami.
Nonostante l’approccio non volontario devo dire che il mio rapporto con l’opera è stato subito positivo perché le atmosfere, i personaggi, gli intrecci[3], mi sono subito piaciuti a tal punto che mi sono andata a scandagliare tutte le versioni, le critiche, le rivisitazioni. Il Faust è per universale consenso il simbolo dell’anima umana lacerata dall’eterno conflitto tra il bene e il male, la salvezza e la dannazione. Goethe iniziò a stendere un testo teatrale sulla leggenda di Faust ad appena diciannove anni e vi lavorò per tutta la vita, approdando a una versione definitiva solo nel 1831, pochi mesi prima della morte; non voglio dire che potreste metterci altrettanti anni a finire di leggerlo… ma quasi. Nonostante la storia sia meravigliosa e i personaggi indimenticabili, il linguaggio è piuttosto ostico e devo ammettere di aver capito davvero il significato profondo dietro l’opera solo dopo averne visto la trasposizione teatrale, che poi ha senso considerando che è una drammaturgia!!!
“Forse ei vivrebbe un po’ meglio se tu non gli avessi dato non so che barlume della luce del cielo ch’egli nomina ragione, e non ne usa che per imbestiarsi più di qualunque bestia.” [4]
Un po’ come Gray, anche Faust ambisce all’immortalità, ed è un tema che non posso negare mi ha sempre affascinato, soprattutto se associato all’eterna giovinezza (non a caso le mie creature sovrannaturali sono i vampiri!, anche se tutto sommato preferirei essere una strega), ma Faust non è un giovincello sprovveduto, è un Uomo. Eppure cede, eppure cade in tentazione e così facendo Faust diventa simbolo dell’inquietudine romantica, dell’uomo alla ricerca dell’infinito, in continua tensione verso la creazione di piaceri e obiettivi sempre più alti. Quel che l’uomo percepisce, crea, fa, considera e qualche volta annienta è frutto della sua smania di tendere all’assoluto, al divino che secondo le religioni risiede in tutti noi, oppure non è nient’altro che uno sfogo dei suoi stimoli più nascosti, sopiti ed inconfessabili? Chi siamo?: Indole o ragione? Passione o pensiero? Mefistofele o Faust?
“Sono una parte di quella forza che desidera eternamente il male e opera eternamente il bene”[5]
Forse siamo entrambi. Lo siamo sempre stati e sempre lo saremo… ed è per questo, credo, che nonostante l’obiettiva difficoltà del testo continuiamo a leggerlo, a guardarlo recitato, a viverlo[6]. Credo che nonostante il tempo trascorso, come succede con i classici immortali, ci rispecchi ancora, nelle nostre virtù e nei nostri vizi. E quando un’opera così antica è allo stesso tempo così moderna, come si fa a lasciarsela sfuggire????
“Il diavolo è un egoista, e non fa facilmente per amor di Dio ciò che giova a un altro.”[7]
Il mio libro preferito!
grazie per averlo citato
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